’Ndrangheta in Liguria, due secoli di carcere
“A Ventimiglia c’era una locale della ’ndrangheta. Guidata da un signore di 82 anni, Giuseppe Marcianò, sul cui volto non è comparsa alcuna emozione quando il giudice gli ha detto quanto tempo avrebbe dovuto passare in carcere: sedici anni. Tre in più del figlio Vincenzo. Ma se a Ventimiglia c’era la ’ndrangheta, non aveva l’appoggio della politica: l’ex sindaco Gaetano Scullino e il suo braccio destro, l’ex general manager del Comune Marco Prestileo, sono stati assolti dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Anche se la società costituita dalla locale per ottenere gli appalti pubblici, la “Marvon”, ne aveva ottenuti alcuni, non c’è prova dell’aiuto dei due amministratori.
Le prime condanne per 416 bis nella storia giudiziaria della provincia di Imperia, arrivate ieri con la sentenza del processo “La Svolta” , sono state sedici. Per un totale di centotrentotto anni. E hanno colpito non solo la locale della città di confine, ma anche quella di Bordighera, distinta dalla prima. Autonoma. E comandata dal clan Pellegrino-Barilaro. Ci sono poi altre dodici condanne, per usura, traffico d’armi, spaccio di cocaina (e il conto finale rasenta i due secoli di carcere). Reati commessi sia dagli imputati per associazione a delinquere di stampo mafioso che dai “fiancheggiatori” della locale, della quale non facevano comunque parte.
Il verdetto, definito dal pm Antimafia Giovanni Arena «un pezzettino di storia», perché, nonostante sia appunto il primo per 416 bis, va messo in conto il lungo iter ancora da affrontare – altri due gradi di giudizio – è arrivato intorno a mezzogiorno e quaranta. Il presidente del collegio Paolo Luppi, con ai lati i giudici Anna Bonsignorio e Massimiliano Botti, ha iniziato a leggere il dispositivo nel silenzio più assoluto. Spezzato quando ha cominciato a pronunciare l’entità delle pene inflitte. Quei sedici anni all’anziano boss, che mai, nel corso della mattinata, si era alzato dalla panca al centro della gabbia. Lo farà solo quando dovrà seguire gli agenti della penitenziaria, destinazione il centro medico del carcere di Torino, dove si trova dalla scorsa primavera, dopo il malore che lo aveva colto in aula. I tredici al figlio Vincenzo, altri sette e mezzo al nipote, anche lui di nome Vincenzo. Quattordici ad Antonio Palamara, che con Peppino Marcianò ha condiviso il grado di capo della locale, e altrettanti a Giuseppe Gallotta. E poi via via tutti gli altri, compresi tre dei quattro fratelli Pellegrino: Maurizio, Roberto e Giovanni (l’unico assente in aula), sedici anni al primo, dieci e mezzo a testa agli altri due. Mentre il quarto fratello, Michele, è stato assolto.
La sentenza del Tribunale di Imperia mette un primo punto fermo sull’esistenza della criminalità organizzata in questo lembo di Liguria. Esistenza rimarcata con decisione dall’allora procuratore di Sanremo Roberto Cavallone, il primo a portare a processo proprio il clan Pellegrino-Barilaro per il caso delle minacce agli ex assessori di Bordighera, con il metodo mafioso. Vi fu un’assoluzione, ma non la resa della Procura e dei carabinieri, che negli ultimi anni hanno tessuto la loro rete attorno alla ’ndrangheta nell’estremo Ponente. Prima con l’indagine “Spiga” – spaccio, usura e armi – poi con l’operazione “La Svolta”. Fino a quella relazione firmata dal capitano Sergio Pizziconi, comandante del nucleo investigativo del comando provinciale -e testimone al processo assieme ai suoi uomini – che ha rappresenta l’atto di accusa decisivo contro i Marcianò, i Pellegrino, i Barilaro, Palamara, Gallotta e gli altri condannati per 461 bis.
«L’impianto accusatorio ha retto», il commento al termine del processo del pm Arena, consapevole di avere messo la sua, di firma, sul “pezzettino di storia”. Quella che dice che la ’ndragheta, a Ventimiglia e Bordighera, nonostante abbia sempre cercato di rispettare la regola del “basso profilo”, non è riuscita a nascondersi. È stata scoperta. E condannata.”
[fonte: ilsecoloxix.it]