Cittadinanza onoraria a Verona: l’articolo.
Fonte: L’Arena – Verona. «Io sono la normalità, sono una persona come tante altre, forse solo con un po’ più di senso dello Stato». La normalità cui fa riferimento Pino Masciari, imprenditore calabrese, 53enne, che si è opposto alla ‘ndrangheta e che per questo insieme alla famiglia sta pagando un prezzo altissimo, è comune a pochi e ha dello straordinario. Da ieri pomeriggio Masciari è cittadino onorario della città. Un riconoscimento voluto da tutto il Consiglio comunale, «che da 5 anni e in modo del tutto trasversale sta promuovendo un percorso di educazione alla legalità attraverso incontri e iniziative», ha sottolineato il presidente del Consiglio Pieralfonso Fratta Pasini. Figlio di un imprenditore edile, Pino Masciari dal padre impara tutto, «lo seguivo passo dopo passo. Ma ero più ambizioso». E così, una volta prese in mano le redini dell’azienda di famiglia, lascia l’edilizia privata per mettersi alla prova anche nel mondo delle opere pubbliche. «Ho lavorato bene, mi hanno lasciato fare per anni. Mi tenevano d’occhio ma nell’ombra», ha raccontato in Gran Guardia a una platea di circa 300 studenti delle classi quarta e quinta superiore di otto istituti veronesi. Sul palco con lui il dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale Giovanni Pontara, il sindaco Flavio Tosi, Fratta Pasini e il rappresentante della Consulta degli studenti Andrea Weber. «A poco più di 30 anni ero uno degli imprenditori più grandi della Calabria: davo lavoro a oltre 200 famiglie qui in Italia e più del doppio all’estero. Ero realizzato, con una ragazza che sarebbe poi diventata mia moglie», prosegue. È a questo punto che iniziano le prime richieste di stringere affari con la criminalità organizzata locale, di pagare il pizzo. E a ogni rifiuto, nuove intimidazioni rivolte a lui, alla famiglia, agli operai che lavoravano nei suoi cantieri, minacciati a colpi di lupara. «Avevo davanti tre opzioni: mettermi in affari con la malavita, accettare di pagare il pizzo, o chiudere l’azienda. Scelsi quest’ultima. Ho denunciato perchè volevo essere un imprenditore libero di lavorare. Non avevo previsto che sarei dovuto scappare dalla mia terra». «Lo Stato avrebbe dovuto tutelarci, mi ripetevano. Ma nel ’97 non c’era neanche una legge che distinguesse chi come me ha fatto la scelta di denunciare la mafia dai collaboratori di giustizia, ex mafiosi che per ottenere sconti di pena decidevano di parlare». Nessun rimpianto per la scelta fatta. Preoccupazioni sì. «Denunciando la mafia, non ho scelto di cambiare solo la mia vita ma anche quella di mia moglie e dei miei figli». I bambini avevano uno e due anni quando sono stati sradicati dalla loro terra di notte con i genitori e scortati dalle forze dell’ordine, senza lasciared traccia e senza più fare ritorno. «Senza la possibilità di una vita normale, di una festa di compleanno con gli amichetti, abbracciare i nonni», prosegue Masciari. «Io so che ho fatto ciò che andava fatto. Ma stiamo pagando un prezzo altissimo. Mia moglie, medico, e io non possiamo più lavorare. Non possiamo tornare nella nostra terra, lo Stato non ci garantisce la sicurezza di ricominciare a vivere e a lavorare». «Questo non è un problema di Pino Masciari, questo è un problema di tutto il Paese, nostro. Alcuni Comuni del Nord sono stati recentemente sciolti per infiltrazioni mafiose: sono fenomeni che potevamo ritenere distanti ma che ora ci riguardano direttamente», ha detto Tosi. «È giusto che se ne parli perché sono la dimostrazione che si può non avere paura e vincere».
Ilaria Noro